Uomini d’acciaio

copertinanuova

Questa estate mi sono cimentato nella scrittura di un libro. 

Questa è l’anteprima………
Ogni commento o suggerimento, è superfluo dirlo, è sempre bene accetto.
Buona lettura  
 
Capitolo 1
Marco
Marco de Marchi si era alzato presto. 3B meteo la sera prima dava sereno al mattino e possibilità di temporali isolati al pomeriggio su Claviere ma stamattina, dalla piccola finestra della casetta di Desertes, la cima dello Chaberton era avvolta da una coperta di nuvole. Paolo oggi era di turno, Luca era in Alto Adige ad arrampicarsi sulle Tofane e a furia di rimandare, anche quest’anno se lo sarebbe fatto sfuggire. Siamo già a fine luglio e tra i capricci meteorologici, gli impegni dell’associazione e la mostra da curare non è che di domeniche ne sarebbero rimaste poi così tante; già l’anno scorso aveva fatto quest’errore e ai primi di settembre aveva cominciato a nevicare.
No, questa volta sarebbe andato a tutti i costi!
Lo zaino con tutta l’attrezzatura era già pronto dalla sera prima, bastava solo riempire le borracce, preparare i panini e mettersi in macchina alla volta di Claviere.
Il monte Chaberton è denominato la “sentinella” della Val Susa e domina con i suoi 3130 metri di altezza il valico del Monginevro. La sua importanza strategica fu compresa dai militari già verso la fine del 1800 quando decisero di costruire un forte sulla sua cima per contrastare un’eventuale attacco proveniente dalla Francia. A tale scopo venne ingrandita e trasformata in rotabile la vecchia mulattiera che saliva al Colle da Fenils usando in alcuni punti anche le mine per piegare la montagna alle esigenze dell’uomo e poter erigere così quello che ai primi del novecento fu definito “il forte indistruttibile” del Regio Esercito Italiano. Otto batterie con cannoni girevoli a 360° lo rendevano davvero temibile, peccato che la Grande Guerra si combatté da tutt’altra parte e i francesi fossero nostri alleati……..Il primo colpo di cannone infatti venne sparato nel giugno 1940 quando ormai l’invenzione del mortaio aveva annullato la superiorità del tiro dall’alto; in una giornata i francesi distrussero 2 batterie, ne resero inservibili altre 4, distrussero la teleferica che lo collegava a Cesana e uccisero 9 uomini. Con tanta pace del forte indistruttibile…… Con la perdita della guerra poi, il forte venne disarmato e perdemmo anche la montagna che ora è territorio francese.
Se l’interesse dell’esercito è ormai quasi nullo, quello storico è via via in aumento e sono molti gli appassionati di archeologia militare che ogni anno attendono lo scioglimento delle nevi per esplorare i vari forti e baraccamenti di tutto l’arco alpino nonché i vari teatri degli scontri che nelle due guerre mondiali hanno visto come protagoniste le nostre montagne.
Marco è uno di questi.
Assieme a Paolo Manori e Luca Ridossi gestisce la Palestra di roccia, una scuola di arrampicata sportiva a Condove vicino a Torino e fa parte insieme a loro e ad altri istruttori della valle, del corpo volontario di recupero alpino del C.A.I.
Ma la sua vera passione è la storia militare. Suo padre Gianmarco era stato generale di corpo d’armata nella caserma di via Asti a Torino e poi, una volta in pensione, presidente onorario dell’associazione “Pietro Micca”, che ha sede nei locali del Museo dell’Assedio di Torino, dietro il palazzo della RAI di via Cernaia.
In famiglia, oltre ad avere un serio problema coi nomi, c’è sempre stata una grande passione per la storia e l’archeologia militare.
Assieme al generale Amoretti, il de Marchi senior aveva studiato ed esplorato moltissime gallerie della vecchia cittadella ed era lì che Marco da picc0lo passava gran parte del suo tempo. Quei cunicoli interminabili erano diventati il suo terreno di gioco e, ogni volta che spuntava fuori un qualche cimelio da una nuova galleria magari scoperta per caso dalla ruspa di una qualche impresa di costruzioni, era nell’ufficio di suo papà che finiva per essere catalogato ed eventualmente poi messo in mostra nel museo dell’assedio di Torino che lui curava. E così, quando papà passò a miglior vita e venne nominato un nuovo direttore, fu lui ad occuparsi della gestione e catalogazione dei vari cimeli e, una volta entrato in contatto con vari altri enti ed associazioni simili in tutta Italia, ottenne molto presto l’incarico di curare personalmente anche le varie mostre temporanee che ogni anno il museo allestiva. Quest’anno, ad esempio, l’argomento era: “Divise e fregi del Regio Esercito” e si sarebbe tenuta nelle sale ristrutturate del vecchio Museo di Artiglieria da Settembre a Gennaio. Sarebbero arrivati pezzi dai maggiori musei italiani e molti cimeli da vari collezionisti con cui nel frattempo era venuto in contatto.
E fu proprio nel blog di uno dei suoi “colleghi” che, giusto un mese fa, lesse che il ghiaccio in una delle gallerie più interne al forte dello Chaberton si era parzialmente ritirato e di questo passo tra qualche mese si sarebbe sciolto abbastanza per potersi calare.
Tutto l’interno del forte infatti è parzialmente coperto da neve e ghiaccio e, mentre le stanze e i corridori più esterni possono essere visitati con semplici ramponi, le scale che scendono ai corridoi più interni sono percorribili solo da chi ha dimestichezza con le arrampicate in quanto bisogna calarsi con funi e muoversi in ambienti completamente bui.
Marco e Paolo sono stati più volte là sotto e quelle gallerie le conoscono bene. Le hanno esplorate in lungo e in largo e qualche proiettile, fregio, berretto e un paio di divise le hanno trovate. Fino agli anni 90, il ghiaccio progrediva di 6-7 cm ogni inverno e già da qualche tempo aveva ostruito molte gallerie e reso parzialmente accessibili le altre ma, da qualche anno, si era verificata un’inversione di tendenza e in effetti con un inverno così poco nevoso e una primavera decisamente molto calda rispetto alla media, la notizia poteva anche essere vera.
Il suo collega non diceva quale era la galleria interessata ma Marco sapeva che erano molte quelle totalmente inesplorate dall’abbandono dell’esercito e, se per caso fosse stata una di quelle che portavano alla polveriera, sarebbe stata una scoperta eccezionale!
Ecco perché non si poteva più aspettare.
Doveva assolutamente andare a vedere e pazienza se sarebbe andato da solo, contro la regola numero uno del buon speleologo che vuole sempre la presenza di almeno un compagno, ma era una corsa contro il tempo!
Una rapida controllata all’attrezzatura, il tempo di sorbirsi la ramanzina di Paolo, e alle 8 Marco si mette in marcia.
La strada da Claviere è la più breve per raggiungere la cima anche se un po’ più dura della lunga militare che parte da Fenils, ma i chili sulla schiena sono tanti e anche solo qualche centinaio di metri in meno diventa molto gradito. Per tutta l’ascesa e fino alle rovine del ricovero Sette Fontane, la nebbia l’ha fatta da padrona e la visibilità era ridotta a una qualche decina di metri, poi all’intersecazione con la rotabile di Fenils un vento fastidioso ha preso a soffiare violentemente da ovest verso est spazzando via ogni nuvola e mostrando ai vari escursionisti la sagoma inconfondibile della batteria di destra del forte. In cima oltre ai soliti turisti che contemplano il panorama, fanno foto e girano per i resti del forte, c’è anche il pallone del traguardo volante dell’Iron bike.
Oggi infatti è previsto sul forte il passaggio dei pedalatori d’acciaio della mountain bike che termineranno poi la loro lunghissima settimana a Sauze d’Oulx.
Marco non è un chiacchierone e nemmeno un tipo che ci mette venti minuti ad allacciarsi le scarpe o a decidere che camicia mettersi. Si potrebbe definire un pragmatico. La natura lo ha già favorito sin dalla nascita regalandogli l’altezza, un bell’aspetto e, nonostante i vari complimenti ricevuti sin dalla tenera età abbiano pericolosamente rischiato di ovattargli il cervello, anche l’intelligenza. Tre cose che unite ad una buona dose di fortuna, rendono la vita una strada in discesa.
I lineamenti dolci ed aggraziati del viso sono parzialmente nascosti da una barba non molto lunga, la cui crescita è lasciata completamente al caso e le orecchie un po’ troppo sporgenti sono sapientemente nascoste da una folta capigliatura che da qualche mese però comincia a mostrare qualche cedimento. I suoi brillanti occhi azzurri hanno sempre calamitato l’attenzione delle giovani figliole anche se una forte timidezza di base ne ha sempre vanificato l’effetto dirompente.
La socialità è sempre stato il suo problema.
Non è mai stato un tipo da bar o da chiacchiere alla fermata del pullman; nel fiume di parole inutili in cui le persone che hanno poco da dire nuotano a piacere, lui affonderebbe ed è per questo che una volta arrivato in cima si è diretto subito verso la parte interna del forte, lontano da occhi indiscreti per preparare l’attrezzatura. C’è sempre un simpaticone o un curioso bisognoso di dare aria ai polmoni che si sente in dovere di chiedere come mai il suo zaino sia così grosso, o cosa si stia preparando a fare e via dicendo. Marco li ha affrontati tante volte e ormai li fiuta come un cane da tartufo.
La scala ovest che conduce ai piani inferiori è ancora come se la ricordava anni prima. Metà del tunnel è ricoperto da ghiaccio vivo e sembra lo scivolo di un qualche parco giochi; la parte libera invece è ancora molto ampia e in quello che una volta era il soffitto sono rimasti ancora ben conficcati nel cemento armato diversi maniglioni di ferro distanziati di qualche metro uno dall’altro e che fungevano da passacavi per la corrente dei piani inferiori.
Fissata la corda e tastata la resistenza del cemento, non resta che mettersi i ramponi, il casco con la luce ed iniziare la discesa scivolando a pancia in giù. Il ghiaccio nei punti non rovinati dai ramponi dei suoi predecessori è così limpido che, puntandogli contro la potente luce del casco si intravede la sagoma delle scale quasi un metro più sotto. Man mano che si abbandona la luce naturale e si piomba nell’oscurità totale, cambia anche la temperatura e a fianco dei maniglioni cominciano ad apparire le prime stalattiti. La mancanza di pendenza ad un certo punto della discesa, fa capire a Marco di esser giunto al piano inferiore e, nonostante ci fosse stato in svariate occasioni, ogni volta è come se fosse la prima.
Così come per la galleria dalla quale è disceso, non si riesce a stare in posizione eretta; lasciata così la corda alla base delle scale, l’esplorazione a carponi di questo enorme congelatore può iniziare.
Gli alloggiamenti dei soldati, insieme alla sala mensa, le latrine, i magazzini e l’infermeria erano tutti situati al piano terra mentre i piani inferiori servivano invece da collegamento tra le varie parti del forte e permettevano di accedere ai punti più remoti di avvistamento oltre che alla polveriera che, per ovvi motivi, era un po’ lontana e defilata rispetto alla struttura principale. L’elettricità era assicurata dal generatore ancora oggi visibile nell’abitato di Cesana Torinese e i cavi della corrente erano portati su dalla teleferica che garantiva un presidio quindi anche nel periodo invernale quando le strade erano impraticabili. Era una continua lotta contro il freddo e il gelo che infatti, non appena si furono spente le stufe, si riappropriarono subito dei locali abbandonati.
In sessant’anni il ghiaccio si è ripreso buona parte dei piani inferiori; le stalattiti ora sono presenti ovunque e formano, in alcuni casi, delle sculture curiose in simbiosi con i vari detriti che pendono dal soffitto e la luce artificiale della torcia contribuisce a rendere tutto molto sinistro. Tre o quattro gallerie sono come Marco se le ricordava, altre più o meno occluse rispetto alla sua precedente visita ma al fondo di un lungo corridoio oltre il quale non si era mai avventurato ecco la sorpresa!
Quello che una volta sembrava un muro di ghiaccio insuperabile ora ha nella sua parte destra un’apertura che mostra una parte di galleria che scende ancora. Altre scale! Portano forse alla polveriera?
Lo spazio per passare è minimo ma sul soffitto c’è un maniglione robusto a cui legare una cima e Marco non ci mette molto a decidere di calarsi. Il rischio è che la breccia man mano che si scende si restringa e che non ci si possa girare ma, al limite si torna su; l’importante è fissare bene la cima a quel maniglione che sporge dalla stalattite sopra l’apertura e che sembra solido quanto basta per sostenere il suo peso.
I primi metri sono emozionanti e carichi di adrenalina!
Sono sessant’anni che nessuno passa per questa galleria; il ghiaccio è liscio e senza solchi e le scale qualche metro sotto sono ben nitide. In alcuni punti si passa proprio a stento, ma poi il ghiaccio si riallarga e la discesa prosegue col cuore a mille per l’emozione.
Metro dopo metro questo tunnel sembra non finire mai e l’ansia di toccare il fondo e la speranza di poter esplorare un ambiente intatto dopo tutti questi anni calamita tutta la sua attenzione prima che un rumore sordo proveniente dall’alto costringa Marco ad affrontare una questione più urgente. La corda proprio in quel momento infatti decide di sfilacciarsi pericolosamente e il brusco scossone provoca il distacco del maniglione che abbandona la compagnia piacevole del cemento armato per andare ad inseguire una traiettoria impazzita. Con un movimento da esperto alpinista Marco riesce, dondolando come un pendolo, a spostare il suo corpo quanto basta per evitare di ricevere in testa quel proiettile di ferro e ghiaccio ma allo stesso tempo il suo rampone destro perde la presa e l’intero suo corpo scivola verso il basso per andare ad incastrarsi fuori dal naturale percorso precedente, ritrovandosi di colpo quasi al termine della scala.
I piedi li sente liberi, ma il ghiaccio che ora lo avvolge in vita gli impedisce di afferrare la piccozza che ha appesa alla cintura mentre il suo corpo lentamente sta scivolando senza controllo.
E’ proprio in quella insolita situazione che la vede!
La prima cosa che incontra sono i suoi occhi spalancati, come se lo stesse fissando dall’altra parte del ghiaccio e poi, nella lenta ed inesorabile discesa, riesce ad intravedere il resto della divisa senza nessuna mostrina prima di esser inghiottito da questo enorme esofago gelato e buio.
Le braccia sono alzate quasi in segno di resa e tra i tanti pensieri che ora stanno invadendo la sua mente, uno si sta facendo sempre più nitido: Marco si rende conto di non essere più padrone del suo destino. La scoperta più importante della sua vita è lì a qualche metro di distanza e non ha neanche avuto il tempo di elaborarla.
Vorrebbe concentrarsi di più su ciò che ha visto ma accade tutto così in fretta. L’enorme stomaco della polveriera si apre sotto di lui e la forza di gravità fa il resto.
Prima del secondo conflitto mondiale il Regio Esercito per volere di Mussolini rafforzò tutto il Vallo Alpino e creò a questo scopo la Guardia alla Frontiera (G.A.F.) e la divise in vari raggruppamenti a seconda della zona di presidio. Venne creato anche l’apposito fregio costituito da due cannoni incrociati sovrastati da una fiamma con all’interno il numero del raggruppamento. L’ottavo Raggruppamento della GAF era di stanza a Cesana e la 515ma Batteria Guardia alla Frontiera presidiava lo Chaberton. Tutti i militari di quel settore perciò avevano la divisa della GAF e il numero 8 all’interno del fregio sul berretto.
Ora che Marco, bloccato con varie fratture nel semibuio della polveriera, sta rielaborando ciò che i suoi occhi hanno visto là sulle scale, i conti non tornano. La divisa non era della GAF ma di una foggia a lui sconosciuta e il fregio assomigliava molto ad uno che aveva già visto anni fa ma non si ricordava bene dove; per di più i lineamenti del viso che si era conservato così bene potevano far pensare addirittura che si trattasse di una donna! Ma le donne in armi sono apparse solo negli anni 90 e quel corpo è lì da almeno 60 anni. E quel fregio che l’aveva ossessionato per così tanto tempo, in bella mostra su quel berretto: due scarponi sovrapposti ad una cima stilizzata con un falco in volo a dominare la scena. Qualche divisione di montagna, qualche corpo minore a lui sconosciuto?
La luce del casco si spegne in questo momento e il profondo taglio che una stalattite gli ha procurato all’arteria femorale durante la caduta spegne ogni ulteriore riflessione ed anche le ultime speranze di venire soccorso in tempo.
continua…………………..